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Volta
Fasi del restauro
 

Brevi non Briglie di Ugo Bazzotti (Gazzetta di Mantova 5 aprile 2008)

Il 6 novembre 1515 il nobile veneziano Pietro Soranzo si reca in visita a Francesco II Gonzaga, nella dimora di San Sebastiano. “Avanti si proximasemo al palazo, sentivamo profumi buonissimi”; poi, entrato, il signore “ne fece benigna ciera. Era in una camera forte adornata, sentato al focho con tre ventagli che non li lassava andar un pelo adosso, con tre terribelissimi levrieri intorno, et infiniti falconi e girifalchi in pugno li intorno, e su per le spaliere erano quadri che erano retrati li soi belli cavalli e belli cani, e li era un nanino vestito d’oro”.
Francesco, stanco e malato, trascorre gli ultimi anni della sua vita isolato nel nuovo palazzo, costruito tra il 1506 e il 1508 e ampliato nel 1511-12 con le camere poste sopra l’attuale atrio d’ingresso. Non si conoscono gli autori della decorazione pittorica che sopravvive, per quanto lacunosa, in numerosi ambienti, occupando volte, lunette e pareti. Le camere del corpo di fabbrica originario e quelle ricavate nell’addizione di poco posteriore mostrano un’omogeneità di impianto e di motivi iconografici che lascia supporre una vigile presenza del committente e dell’equipe di artisti che operavano per lui.

L’impianto ornamentale possiede una precisa fisionomia, che trova un parallelo nel camerino delle Fiammelle nel Castello di San Giorgio: al centro è dipinto un emblema, da cui si sprigiona un elemento significativo che si irradia su tutta la volta e talora scende lungo le pareti. Le lunette accolgono, appesi a nastri e legati a festoni, oscilla fregiati da emblemi inerenti al tema, o collegati alla cultura di corte, mutuati dal precedente mantegnesco delle lunette nella Camera degli Sposi. Nel palazzo era da tempo visibile la camera del Crogiolo, che diffonde tutt’intorno una pioggia di fiammelle. L’altra, pure al pianterreno, con l’impresa del Sole, ha rivelato una fitta trama di dardi che scendono verso lo spettatore. Un motivo molto simile compare nella camera delle Frecce, ove l’impresa di tale nome, posta al centro della volta, è circondata da un nugolo di frecce con la punta rivolta in basso; in questo ambiente è venuta alla luce una serie di raffinate lunette, pure ornate da imprese di casa Gonzaga. Impresa di casa reale è invece quella definita del Porcospino in documenti coevi: concessa dal re di Francia, mostra un istrice che scagli i suoi aculei, che nella camera a pianterreno si estendono su volta e pareti.

All’imperatore inneggiava invece quella dell’Acciarino, probabilmente l’elemento che qualifica il collare del Toson d’Oro; la camera, distrutta per far posto alla scala vicina all’ingresso, reca ancora tracce delle fiammelle che si sprigionavano dal corpo dell’impresa. All’appello mancava ancora una camera che gli studiosi locali ritenevano decorata con l’impresa delle Briglie, peraltro mai apparsa nella ricca emblematica gonzaghesca. Il restauro compiuto in questi giorni ha messo in luce un’impresa diversa, e ha rivalutato la corretta menzione del notaio Stivini che, nel 1540, nominava una camera dei Brevi, non correttamente interpretati come briglie. Per breve si intendeva una lettera o, più di frequente, un biglietto, una striscia di carta o pergamena che poteva recare delle scritte. Non deve quindi meravigliare se il paziente lavoro di rimozione dello scialbo sulla volta ha rivelato una miriade di striscioline svolazzanti, con le estremità arrotolate. Al centro è dipinto un occhio di cielo, ove campeggia un mazzo di biglietti che sembrano essere stati sciolti in questo momento e gettati all’interno della camera, in cui volteggiano mostrando alternamente un lato giallo e uno azzurro. Sembra del tutto plausibile l’identificazione del motivo iconografico con l’impresa delle Polizze, appartenuta a Isabella d’Este, come vuole la tradizione.

Scrive Paolo Giovio nel 1551: “portò similmente questa nobilissima signora per impresa un mazzo di polizze bianche, le quali si traggono dall’urna della sorte volgarmente detta lotto, volendo significare che aveva tentato molti rimedii e tutti erano riusciti vani, ma pur alla fine restò vittoriosa contra i suoi emuli…”. L’impresa delle Polizze compare nella Grotta di Isabella, sia in quella del castello di San Giorgio, sia in quella di Corte Vecchia, nella consueta versione del mazzo di biglietti legati a fascio. Nell’adottarla per il palazzo di San Sebastiano, forse in omaggio alla moglie, Francesco l’adegua allo schema compositivo presente negli altri ambienti e, per giustificare meglio la caduta dei “brevi”, fa precipitare dall’alto il mazzo sciolto dal laccio e gonfio di vento. La decorazione dona un colpo d’occhio inatteso, incanta con la più astratta delle visioni pittoriche del palazzo: la pioggia perfettamente ritmata dei biglietti d’oro e d’azzurro (colori araldici degli Estensi) che rivestono il candido intonaco della volta.