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giulio romano firma

Il Palazo dil T

“Et giunto sua M [aestà Carlo V Imperatore] al Palazo dil T se n’andò nel Camarone [Camera di Amore e Psiche ], et visto quello, sua M [aestà] restò tutta meravigliosa, et ivi stette più di mezz’hora a contemplare, ogni cosa laudando sommamente.”                                                                                                

                                                                                                                    (Luigi Gonzaga da Borgoforte, sec. XVI)

 

 

Itinerario di visita: sale monumentali

Itinerario di visita
Sale monumentali

Itinerario al Museo

Itinerario di visita
Museo

Restauri

Restauri

Valorizzazione e Innovazione

Valorizzazione
e Innovazione

La studiosa e paleografa Anna Maria Lorenzoni curò, anni or sono, la trascrizione delle circa 700 scritte graffite esistenti sull’intonaco affrescato nella Camera dei Giganti, datate dal Cinquecento alla metà del Novecento. Riportiamo sul sito del Museo il documento inedito nella sua integrità, convinti che offra dati interessanti e, forse, spunti storici utili ai lettori.
Vi si premette la trascrizione di un articolo sull’argomento, pubblicato sulla “Gazzetta di Mantova” nel febbraio 2002.

Graffiti Giganti

“Gazzetta di Mantova” nel febbraio 2002

“Scusi, e tutte queste scritte?” è l’immancabile domanda che il turista, dopo il primo istante di sbalordimento provocato dalla rovinosa caduta dei Giganti nell’omonima sala, rivolge al custode, vedendosi circondato –ad altezza d’occhio- da una moltitudine di graffiti, di ogni foggia e dimensione. Fino al tempo dei restauri per la mostra di Giulio Romano, le scritte incise sull’intonaco affrescato da Giulio, Rinaldo e altri abili pittori della bottega spiccavano per il candore dei solchi in contrasto con la cupa policromia dell’affresco. L’Istituto Centrale del Restauro, nell’intervento ristoratore, ha deciso non di cancellarle colmandole di stucco e ridipingendole, ma di mascherarle un po’, ritoccando i solchi con l’acquerello. Si è ottenuto così il risultato di restituire lettura unitaria alla grandiosa invenzione pittorica di Giulio, senza eliminare tracce ormai secolari, intimamente legate alla storia dell’ambiente, anche se frutto di egocentrica maleducazione. “Sono antiche, signore; oggi non le fa più nessuno”, risponde il nostro custode al turista, confidando che la sorveglianza continua e l’occhio vigile delle telecamere scoraggino gli eventuali emuli dei graffitari d’epoca. Le date più recenti (fortunatamente rare) risalgono alla metà del Novecento, quando il palazzo non era sorvegliato adeguatamente, mentre le più antiche lasciano perplessi: un 1587, addirittura un 1560, accanto a lettere minute e inestricabili. Possibile, ci si chiede, che gli stessi ospiti dei Gonzaga, mentre il palazzo era ancora nuovo e sfavillante d’oro e di colori, avessero l’ardire di andare nascostamente a scrivere sui muri? Tant’è. I caratteri paleografici concordano con le date espresse.

Da lì si passa alle firme dei soldatacci acquartierati dopo il sacco, nella villa trasformata in caserma. Sono “lanzi” d’oltralpe, provenienti dall’Austria e oltre, dalle lontane terre slave sottoposte all’Impero: Simon Lindtner von Wien – den 12 maii anni 1631; Hans Roth von Wien, 1631 den 6 iunii; Tobias Weiner von Preslaw – anno 1631 den 12 maii; Iacob Finhoff anno domini 1631; Andres von Kraltza – 1631 die 28 aprilis. Altri soldati, altre guerre, hanno lasciato memoria di sé attraverso scritte sussiegose di caporali, ufficiali, suonatori di bande militari: per un Federico Petrucci tenente troviamo Wollfgang Dragosics corporal de Housar, anno 1740. E in ideale parata: Giovanni Benati trombeta; Frantz Ioseph Gribler, trompetten – die 26 april 1734; Frantz Leopold Nicolaus Gisk, felt trompeter – anno 1735; Franciscus Neudecker, tambor. Tra i vanagloriosi, anche funzionari di corte, come il Sig. Vicenzo Ve(…), ferares, proved(itore) Arciducale – de zugno VI, 1704, o Domenico Covezi mastro di stala di S.A.S Modana – adì 7 maggio 1719. Tra i nobili, o presunti tali, compaiono cognomi di famiglie patrizie mantovane, come Aldegatti, Fochessati, Carazzi, Petrozzani, Riesenfeld, senza indicazioni di data. Altri esponenti di casati patrizi, probabilmente ignari del fatto, sono evocati da qualche rancoroso e sboccato milite, forse per una punizione mal digerita. Sembra il caso di Chieppius, Cappilupus, Panizza, cui tale Asmondo affianca, in duplice e icastica accezione, l’esclamazione che rese immortale Cambronne.

A proposito: troviamo anche un compatriota di quest’ultimo, che si firma con prosopopea Monseigneur de la Motte. Salendo per gradi la classe nobiliare, giungiamo a un vertice inaspettato; sulla parete meridionale si legge: Hic fuit rex Mathias. Sarà vero? È del tutto improbabile. Mattia d’Asburgo fu re di Boemia per un anno, dal 1611 al 1612, poi fu eletto imperatore. Vero è che risultava parente dei Gonzaga (la suocera era Anna Caterina, figlia di Guglielmo e sposa di Ferdinando del Tirolo), ma nessuna cronaca mantovana ha registrato un suo passaggio nello stato gonzaghesco; che a una Maestà venga l’uzzolo di scrivere sui muri, questo poi… Un caldo elogio al suo successore viene espresso da Georg Rudolf Ferkar tenente: viva mile e mile volte l’imperatore Ferdinando II Romanorum imperator maximus. Come non apprezzare la devozione di questo ufficiale, e il suo impegno nell’esprimersi, a Mantova, in italiano e latino, così come voleva lo spirito universale dell’impero? Ma la sala, sotto lo sguardo irato e preoccupato dell’intero Olimpo, non restituisce solo lo sbattere di tacchi, il tintinnare di armi, lo strepito delle fanfare, i proclami degli araldi. A ben osservare, come ha fatto Anna Maria Lorenzoni nel corso del suo paziente lavoro, tra 700 graffiti rilevati si trovano anche le tracce di sospiri amorosi, empiti di passione, esaltazioni erotiche. Tra queste ultime riportiamo solo la bizzarra autopresentazione di tale Gregorio Genovese (Ianuensis), che si proclama satirus veronensis. Più garbati, e in sintonia con il prossimo S. Valentino, gli innamorati che, accanto alla data 1639, tracciano le loro iniziali V.D, H.H. e un cuoricino. Molto più impegnativo, e suggestivo, il messaggio di una fanciulla che, con ortografia approssimativa, còmpita in tedesco: Alhir, auf disen plaz / Da fint ich meinen shaz / mein engel und mein kint / Nah dir bin ich gesind. Margerete (…) vi ama.

Si può tradurre, con approssimazione: “Alhir (sarà un nome proprio, uno pseudonimo?), in questo luogo ho trovato il mio tesoro, il mio angelo e il mio bambino, sono felice a te vicino”. Questo breve excursus non dia l’impressione che tutti quelli che si sono firmati fossero lì quasi per caso, e che i visitatori rimanessero insensibili di fronte agli affreschi. Esistono anche “turisti” che lasciano testimonianza di ammirazione per l’artefice del palazzo (ma non è contraddittorio imbrattarne l’opera?). Vi sono persino turisti dediti, si direbbe oggi, all’enogastronomia, se si vuole interpretare anche per il suo ridondante contenuto e il bislacco procedere del graffito la scritta che campeggia tra le due porte della sala: D. Gozzi – I. Carolus 1749, 29 aprile, giorno di S. Pietro Martire, doppo d’haver fatto collazione. Per fortuna ci hanno risparmiato il menù.

Ugo Bazzotti

Allegati: Schema delle scritte Giganti